lunedì 13 agosto 2012

Giuramento anti-modernista


Giuramento anti-modernista



Con questo “giuramento anti-modernista”, San Pio X
seppe unire alla ortodossia dottrinale anche una salutare fermezza
pratica, come con questo giuramento anti-modernista
che era una delle norme imposte dal “Motu Proprio Saronum
Antistitum” del 1° settembre 1910.
Da ricordare che il “Giuramento anti-modernista e il
Sant’Uffizio” erano le “bestie” nere che i modernisti volevano
far sparire. Ci pensò, allora, Papa Paolo VI con il “Motu
Poprio Integrae servadae” del 7 dicembre 1965, e il
Sant’Uffizio fu soppresso con un atto della “Congregazione
per la dottrina della Fede”, pubblicato negli “Acta Apostolicae
Sedis” 59, senza data né firma.

Cari Lettori, leggete, ora, questo “Giuramento anti-modernista”,
e comprenderete il perchè, oggi, siamo in questa
strage ecclesiale!


«Io N. fermamente accetto e credo in tutte e in ciascuna
delle verità definite, affermate e dichiarate dal magistero infallibile
della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che
contraddicono direttamente gli errori del tempo presente.

Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può
essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato
con i lumi della ragione naturale nelle opere da lui compiute
(cf. Rm 1, 20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi
effetti.
Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della Rivelazione,
cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e
le profezie, come segni certissimi dell’origine soprannaturale
della religione cristiana, e li ritengo perfettamente adatti a tutti
gli uomini di tutti i tempi, compreso quello in cui viviamo.
Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa,
custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita immediatamente
e direttamente da Cristo stesso, vero e storico, mentre
viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia
ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli.
Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa
a noi dagli Apostoli tramite i Padri ortodossi, sempre
con lo stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la
fantasiosa eresia dell’evoluzione dei dogmi da un significato
all’altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava;
condanno similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito
divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse
fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione
della coscienza che si è andata lentamente formando mediante
sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito.
Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro
che la fede non è un cieco sentimento religioso, che
emerge dall’oscurità del subcosciente per impulso del cuore e
inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso
dell’intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente
verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale,
creatore e Signore nostro, ha detto, attestato e rivelato.
Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto cuore
aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni
dell’enciclica “Pascendi” e del decreto “Lamentabili”, particolarmente
circa la cosiddetta storia dei dogmi.
Riprovo altresì l’errore di chi sostiene che la fede proposta
dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi
cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili
con le reali origini della religione cristiana.
Disapprovo pure e respingo l’opinione di chi pensa che
l’uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità
del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito
difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare
delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono
falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati.
Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare
la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della
Chiesa, l’analogia della fede e le norme della Sede apostolica,
ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura
che audacia applica la critica testuale come regola unica e
suprema.
Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l’insegnamento
di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto,
deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta, sia
sull’origine soprannaturale della tradizione cattolica, sia dell’aiuto
promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole
verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su
basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la
stessa autonomia critica ammessa per l’esame di qualsiasi altro
documento profano.
Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei
modernisti, secondo cui nella sacra Tradizione, non c’è niente
di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico,
riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a
quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio
impegno, l’abilità e l’ingegno prolungano nelle età posteriori
la scuola inaugurata da Cristo e dagli apostoli.
Mantengo pertanto e fino all’ultimo respiro manterrò la
fede dei Padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e
sempre sarà, nella successione dell’episcopato agli Apostoli,
non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono
alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la
verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli Apostoli
non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa.
Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente
e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza
mai discostarmene né nell’insegnamento né in nessun genere
di discorsi o di scritti. Così prometto, così giuro, così mi
aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio».

venerdì 10 agosto 2012

Si salvano tutti?


Salvezza eterna

È ovvio che molti si chiedano: ma quanti vanno all’inferno?
Rifacciamoci al Vangelo.
Dopo aver concluso la parabola del “convitato senza l’abito
nuziale”, Gesù afferma che fu gettato «nelle tenebre
esteriori, dove sarà pianto e stridore di denti». Poi, Gesù
aggiunge una misteriosa rivelazione: «perché molti sono i
chiamati, ma pochi gli eletti».
Questa “rivelazione” vien ripetuta da S. Matteo, con immagini:
«Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta
e spaziosa la via che porta a perdizione e molti sono
quelli che entrano in essa; mentre stretta è la porta e angusta
la via che conduce alla vita e pochi sono quelli che la
trovano».
Per S. Agostino, queste parole di Gesù: “molti sono i
chiamati, ma pochi gli eletti”, «non è una parola, ma un
tuono»; e l’interpreta: «certamente quelli che si salvano sono
un piccolo numero».
S. Giovanni Crisostomo si chiedeva: «quante persone sisalveranno della nostra città?» e rispondeva: «tra tante migliaia
di persone, nemmeno cento arriveranno alla salvezza
».
S. Tommaso d’Aquino cerca di spiegare questa selezione:
«un bene proporzionato alla comune condizione della natura
umana si trova in molti..., ma il bene che è al di sopra della
comune condizione della natura, è un numero ristretto... E siccome
la beatitudine eterna, consistente nella visione di Dio,
supera la comune condizione della natura, sono pochi quelli
che si salvano. E questo dimostra la misericordia di Dio che
innalza, alcuni a quella salvezza che la maggioranza degli
uomini non raggiunge».
Nelle prediche di tutti i Santi di tutti i tempi, quelle parole
di Gesù furono commentate con minacciosi ammonimenti.
S. Leonardo da Porto Maurizio ripeteva spesso, nelle
sue prediche, la storia del Prelato di Lione che “per zelo della
sua anima”, si era riparato nel deserto a far penitenza,
ed era morto nella stessa ora in cui era morto S. Bernardo.
Comparendo, dopo morte, al suo vescovo, gli dice: «nella
stessa ora in cui morii io, spirarono trentamila persone. Di
queste, l’abate Bernardo ed io salimmo subito al cielo; altri
tre, andarono in purgatorio; tutte le altre 29milanovecentocinque
anime, precipitarono all’inferno!».
Certo, non è di fede questo contare, perchè la Chiesa non
ha mai tradotto in numeri i “molti chiamati” e i “pochi eletti”,
ma ci ricorda che nella profezia dell’ultimo giudizio, Gesù
ha ripetuto: «Io vi dico: in quella notte, due saranno in
un letto; l’uno, sarà preso, e l’altro, lasciato; due donne
macineranno assieme: una sarà presa, l’altra, lasciata; due
saranno al campo: una sarà presa e l’altra lasciata». Mistero
di Dio!..

tratto da "Restauriamo la Chiesa" di Don Luigi Villa

Una sola ragione possono avere gli uomini per non obbedire...



Premessa
Papa Leone XIII nell'enciclica DIUTURNUM del 29 giugno 1881 insegna che: "una sola ragione possono avere gli uomini di non obbedire, se cioè si pretende da essi qualsiasi cosa che contraddica chiaramente al diritto divino e naturale, poiché ogni cosa, nella quale si viola la legge di natura e la volontà di Dio, è ugualmente iniquità sia il comandarla che l'eseguirla...NB: quando Sua Emminenza parla di principi è inteso sia civili sia ecclesiastici...


Leggiamo insieme quest' enciclica:






DIUTURNUM ILLUD LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII

Quella lunga e nefandissima guerra mossa alla divina autorità della Chiesa ha condotto al punto cui essa tendeva, vale a dire al comune pericolo della umana società e specialmente del civile principato, sul quale in gran parte poggia la pubblica salvezza.
Ciò che è accaduto in questo nostro tempo lo evidenzia in modo particolare. Infatti, oggi le passioni popolari rifiutano più audacemente che mai qualsiasi autorità di comando, ed è tanta dovunque la licenza, sono tanto frequenti le sedizioni e i tumulti, che coloro i quali reggono la cosa pubblica non solo si vedono spesso negata l’obbedienza, ma non vedono abbastanza tutelata la loro stessa incolumità personale. Da lungo tempo infatti si è operato in modo che essi venissero in dispregio e in odio alla moltitudine; ed all’erompere delle fiamme del concepito livore molte volte in breve spazio di tempo la vita dei principi, o con occulte insidie o con aperti assassinii, è stata esposta a morte. Fu presa testé d’orrore tutta Europa alla nefanda uccisione di un potentissimo Imperatore, e mentre sono ancora attoniti gli animi per l’enormità di tale misfatto, uomini perduti non hanno ritegno di lanciare pubblicamente minacce ed intimidazioni agli altri principi d’Europa.
Questi pericoli dei comuni interessi che Ci sono dinanzi agli occhi, Ci mettono gravemente in pensiero, in quanto vediamo quasi continuamente minacciate la sicurezza dei principi e la tranquillità dei regni, unitamente alla salute dei popoli. Tuttavia, però, la divina virtù della religione cristiana ha fornito alla cosa pubblica solidi fondamenti di stabilità e di ordine, non appena penetrò nei costumi e nelle istituzioni civili. Non piccolo né ultimo frutto di tale virtù è l’equo e sapiente temperamento dei diritti e dei doveri nei principi e nei popoli. Infatti, nei precetti e negli esempi di Cristo Signore è meravigliosa la virtù di moderare nel dovere tanto quelli che obbediscono quanto quelli che comandano, e di mantenere fra loro quel naturale accordo, quasi un’armonia di volontà, da cui nasce il tranquillo e imperturbato corso delle pubbliche cose. Pertanto, essendo Noi, per concessione di Dio, preposti a reggere la Chiesa cattolica, custode ed interprete delle dottrine di Cristo, giudichiamo essere dovere della Nostra autorità, Venerabili Fratelli, ricordare pubblicamente ciò che esige da ciascuno in questo genere di cose la verità cattolica; dal che emergerà anche per quale via ed in quale modo si debba in tanto pauroso stato di cose provvedere alla pubblica salute.
Quantunque l’uomo, spinto da una certa superbia e arroganza cerchi spesso di spezzare i freni del comando, tuttavia non arrivò mai a potere non obbedire a nessuno. Infatti, in qualunque società e comunità umana è necessario che alcuni comandino, affinché la società, priva del principio o del capo che la regge, non si sfasci e non sia impedita di conseguire quel fine per il quale si formò e si costituì. Però se non si poté arrivare ad eliminare il potere dal seno della società civile, furono certo adoperate tutte le arti per togliere ad esso forza e sminuirne la maestà, e ciò principalmente nel secolo XVI, quando una funesta novità di opinioni infatuò moltissimi. Da quel tempo, la moltitudine non solo volle dare a se stessa una libertà più ampia, che fosse di uguaglianza, ma sembrò anche voler foggiare a proprio talento l’origine e la costituzione della società civile. Anzi, moltissimi dei tempi nostri, camminando sulle orme di coloro che nel secolo passato si diedero il nome di filosofi, dicono che ogni potere viene dal popolo: per cui coloro che esercitano questo potere non lo esercitano come proprio, ma come dato a loro dal popolo, e altresì alla condizione che dalla volontà dello stesso popolo, da cui il potere fu dato, possa venire revocato. Da costoro però dissentono i cattolici, i quali fanno derivare da Dio il diritto di comandare come da naturale e necessario principio.
Importa però notare qui che coloro i quali saranno preposti alla pubblica cosa, in talune circostanze possono venire eletti per volontà e deliberazione della moltitudine , senza che a ciò sia contraria o ripugni la dottrina cattolica. Con tale scelta tuttavia si designa il principe, ma non si conferiscono i diritti del principato: non si dà l’imperio, ma si stabilisce da chi deve essere amministrato. Né qui si fa questione dei modi del pubblico reggimento, poiché non vi è alcuna ragione perché la Chiesa non approvi il principato d’uno o di molti, purché esso sia giusto e rivolto al comune vantaggio. Pertanto, salva la giustizia, non s’impedisce ai popoli di procurarsi quel genere di reggimento che meglio convenga alla loro indole, o alle istituzioni ed ai costumi dei loro maggiori.
Del resto, per quel che riguarda la potestà di comandare, la Chiesa rettamente insegna che essa proviene da Dio; infatti essa trova apertamente attestato ciò nelle sacre Lettere e nei monumenti della cristiana antichità, né inoltre si può escogitare alcuna altra dottrina che sia più conveniente alla ragione e più consentanea alla salute dei principi e dei popoli.
Infatti i libri del Vecchio Testamento in molti luoghi chiarissimamente confermano che in Dio è la fonte della umana potestà. "Per me i re regnano..., per me i principi comandano e i potenti amministrano la giustizia" (Pr 8,15-16). E altrove: "Date ascolto, voi che reggete le nazioni... poiché da Dio vi è data la potestà e dall’Altissimo la virtù" (Sap 6,3-4). Il che è contenuto anche nel libro dell’Ecclesiastico: "A ciascuna gente Iddio prepose il reggitore" (Sir 17,14). Nondimeno queste cose che gli uomini avevano appreso da Dio, a poco a poco le disimpararono per la pagana superstizione. Questa, come corruppe le vere specie delle cose e moltissime nozioni, così corruppe anche la forma genuina e la bellezza del principato. Poi, quando risplendette il Vangelo cristiano, la vanità cedette alla verità, e nuovamente cominciò a brillare quel nobilissimo e divino principio da cui emana ogni autorità. Al Governatore romano, il quale credeva di avere ed ostentava la potestà di assolvere e di condannare, Cristo Signore rispose: "Non avresti alcuna potestà contro di me, se ciò non ti fosse dato dall’alto" (Gv 19,11). Sant’Agostino, spiegando questo passo, "Impariamo, scrive, ciò che egli disse, e ciò che insegnò anche per bocca dell’Apostolo, che non esiste potestà se non da Dio" . Infatti la incorrotta voce degli Apostoli fu sempre come un’immagine della dottrina e dei precetti di Gesù Cristo. Ai Romani, sudditi di principi pagani, Paolo propone questa sublime e gravissima sentenza: "Non esiste potestà se non da Dio", e da tale principio conclude: "Il principe è ministro di Dio" (Rm 13,1.4).
I Padri della Chiesa professarono e si sforzarono di diffondere tale dottrina, alla quale erano stati educati. "Non attribuiamo, dice Sant’Agostino, la potestà di dare regno ed impero se non al vero Dio" . In linea con lo stesso pensiero, San Giovanni Crisostomo dice: "Che vi siano i principati e che alcuni comandino ed altri siano soggetti, e che tutto non vada a caso e in disordine... dico essere opera della divina sapienza" . Questo stesso concetto attestò San Gregorio Magno dicendo: "Confessiamo che la potestà agl’imperatori ed ai re è data dal cielo" . Anzi, i santi Dottori presero ad illustrare questi stessi precetti anche col lume naturale della ragione, affinché anche a quelli che hanno per guida la sola ragione, essi apparissero del tutto retti e veri. In verità la natura, o meglio l’Autore della natura, Dio, impone agli uomini di vivere in società; il che è luminosamente dimostrato e dalla facoltà di conversare, che è la più grande conciliatrice della società, e da moltissime innate tendenze dell’anima e dalla necessità di molte e grandi cose, che gli uomini solitari non possono conseguire, e che uniti ed associati agli altri conseguono. Ora poi non può né esistere né concepirsi una società, in cui qualcuno non temperi le volontà dei singoli, in modo da formare di tutte una cosa sola, e rettamente le diriga al bene comune. Dunque Dio volle che nella civile società vi fossero coloro che comandassero alla moltitudine. Ed è inoltre assai importante che coloro dalla cui autorità la cosa pubblica è amministrata possano obbligare i cittadini ad obbedire, e che il non obbedire sia peccato per questi. Nessun uomo però ha in sé o da sé di che potere, con siffatti vincoli di comando, legare la libera volontà degli altri. Soltanto a Dio, creatore e legislatore di tutte le cose, appartiene questo potere: e quelli che lo esercitano lo debbono esercitare come trasmesso loro da Dio. "Uno solo è il legislatore e il giudice che può perdere e liberare" (Gc 4,12). Il che si avvera ugualmente in ogni genere di potere. Quello che è nei sacerdoti è tanto noto che viene da Dio, che questi presso tutti i popoli sono ritenuti e chiamati ministri di Dio. Similmente la potestà dei padri di famiglia reca espressa in sé una certa effigie e forma dell’autorità di Dio "da cui ogni paternità prende nome in cielo e in terra" (Ef 3,15). In tal modo i diversi generi di potestà hanno tra loro mirabili somiglianze, in quanto qualsivoglia forma di comando e di autorità trae origine dall’unico e stesso autore e signore che è Dio.
Coloro i quali pretendono che la società civile sia nata dal libero consenso degli uomini, derivando dallo stesso fonte l’origine della stessa potestà, dicono che ciascun uomo cedette una parte del suo diritto, e volontariamente tutti si diedero in potere di colui nel quale fosse accumulata la somma dei loro diritti. Ma è grande errore non vedere ciò che è manifesto, cioè che gli uomini non essendo una razza selvatica, indipendentemente dalla loro stessa libera volontà sono portati dalla natura alla socievole comunanza; inoltre, il patto di cui si parla è manifestamente fantastico e fittizio e non vale a dare alla potestà politica tanta forza, dignità e stabilità quanta ne richiedono la tutela della pubblica cosa e i comuni vantaggi dei cittadini. Il principato avrà tutte queste qualità e tutti questi presidi soltanto se si comprenderà che esso deriva dall’augusto e santissimo fonte che è Dio.
Non si può trovare nessuna affermazione che sia non solo più vera, ma anche più vantaggiosa. Infatti, la potestà dei reggitori civili, essendo quasi una comunicazione della potestà divina, acquista di continuo, per questo stesso motivo, una dignità maggiore della umana: non già quella empia e grandemente assurda cercata un tempo dagli imperatori pagani, che si arrogavano onori divini, ma quella vera e solida, avuta quasi per dono e beneficio divino. Per cui sarà necessario che i cittadini siano soggetti ed obbedienti ai principi come a Dio, non tanto per timore delle pene quanto per ossequio alla maestà, non già per motivo di adulazione, ma per coscienza di dovere. Con che l’impero starà molto più stabilmente collocato nel suo grado. Infatti i cittadini, sentendo la forza di questo dovere, debbono necessariamente aborrire dalla nequizia e dall’arroganza, persuasi, come debbono essere, che chi resiste alla potestà politica, resiste alla volontà divina; che chi rifiuta onore ai principi, lo rifiuta a Dio stesso.
In questa dottrina l’Apostolo Paolo erudì specialmente i Romani, ai quali sulla riverenza che si deve ai principi scrisse con tanta autorità e tanto peso da non potersi concepire nulla di più grave. "Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite, poiché non c’è autorità se non da Dio, e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna... Perciò è necessario stare sottomessi non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza" (Rm 13,1.2.5). Consentanea a questa è la preclara sentenza del Principe degli Apostoli Pietro: "State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni, perché questa a la volontà di Dio" (1Pt 2,13-15).

Una sola ragione possono avere gli uomini per non obbedire: qualora cioè si pretenda da essi qualche cosa che ripugni apertamente al diritto naturale e divino, in quanto ogni volta in cui si vìola la legge di natura e la volontà di Dio è ugualmente iniquo tanto comandare ciò, quanto eseguirlo. Se a qualcuno dunque avvenga di trovarsi costretto a scegliere fra queste due cose, vale a dire se disprezzare i comandi di Dio o quelli dei principi, sappia che si deve obbedire a Gesù Cristo, il quale comandò di rendere "a Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio" (Mt 22,21) e sull’esempio degli Apostoli deve coraggiosamente rispondere: "È doveroso obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (At 5,29). Né tuttavia coloro che in tal modo si comportano sono da accusare di aver mancato all’obbedienza, poiché se il volere dei principi ripugna al volere e alle leggi di Dio, essi stessi eccedono la misura della loro potestà e pervertono la giustizia: né in tal caso può valere la loro autorità, la quale è nulla quando non vi è giustizia.

Perché poi nella potestà si mantenga la giustizia, importa grandemente che coloro i quali amministrano le città... 

Il soprannaturale

IL PUNTO DI VISTA STORICO: LA VOCAZIONE SOPRANNATURALE DELL'UMANITÀ' 

tratto dall'Enciclopedia di Apologetica - quinta edizione - traduzione del testo APOLOGÉTIQUE Nos raisons de croire - Réponses aux objection 



§ 1. - La rivelazione salvaguarda la vera autonomia umana. 

Si può parlare di doveri dell'uomo di fronte al soprannaturale? Non è questa un'obiezione preliminare e non occorre risolverla in quanto potrebbe compromettere i diritti d'una legittima autonomia umana? Oggi la ragione naturale è affascinata dall'autonomia e non serve affatto negare o criticare questa tendenza, perché il fatto s'impone all'apologista che deve adattarvisi. 

Alcune forme di autonomia pretendono escludere il soprannaturale

- È certo che alcuni spiriti esigono un'indipendenza che rende il soprannaturale irrecettibile e inammissibile per sempre, poiché pretendono che la ragione basti ,i se stessa, senza bisogno di cercare una regola di verità che la superi, e vogliono che la natura si limiti strettamente alle proprie risorse, senza mirare, nemmeno a modo di ipotesi, a un dono gratuito di Dio che l'arricchisca e la completi. In questo caso, è inutile continuare lo studio del nostro problema. In primo luogo, occorre mutare questa falsa posizione metafisica. 

L'autonomia legittima e necessaria

- C'è anche un modo legittimo di rivendicare l'autonomia, che si identifica con la stima dei valori umani e la preoccupazione di rimanere pienamente uomini, di perfezionare la propria umanità e di non menomare la propria natura col pretesto del progresso soprannaturale. Qui siamo davanti a una difficoltà molto delicata, e bisogna ammettere che talvolta la dottrina e la morale cristiana vengono presentate in modo da offrire il fianco a ogni specie di obiezioni e da rafforzare le ripugnanze. Però, in fondo alla discussione, troviamo soltanto un equivoco. Se si vuoi dire che, per divenire cristiani e soprannaturali, occorre rinunciare a essere uomini in senso pieno, diamo davvero ragione ai nostri avversari e scoraggiamo quelli che avrebbero voglia di entrare. Ma anche qui, niente di più falso, perché, sul piano soprannaturale, non c'è e non ci può essere rinuncia che si manifesti attraverso una reale diminuizione della nostra umanità. Per quanti esempi si citino, si baseranno sempre sopra una concezione inesatta dei veri valori soprannaturali, o sopra una falsa nozione della perfezione soprannaturale. 

Una falsa concezione della rinuncia

- Si dice che un professore padre di famiglia il quale, per spirito cristiano, accetti di sacrificare il suo progresso intellettuale personale all'educazione dei suoi bambini, è menomato nel suo valore naturale, ma lo ritrova sul piano del Corpo mistico. Ma prendendo ìe cose in modo esatto, quest'enunciazione non ha nemmeno senso. Com'è possibile che ciò che naturalmente è meno che nulla, che è una diminuzione di valore, possa divenire qualcosa soprannaturalmente? Come si concepisce il rapporto tra naturale e soprannaturale? Un uomo in queste condizioni riguadagna nel carattere, nella produttività sociale, ciò che sembra perdere in valore speculativo, poiché la speculazione nell'uomo non è tutto e nemmeno la cosa principale. 

Non c'è da scandalizzarsi se un uomo, per divenire cristiano, rifiuta di sacrificare qualcosa della sua vera umanità; occorre soltanto far vedere alle anime attuali che il loro timore di una diminuzione naturale è vano, che la loro autonomia non è affatto in pericolo, e che senza comprometterla affatto possono divenire cristiane. 

Dio non vuole distruggere la natura, ma perfezionarla

- Guardando le cose da vicino, ammetteremo che quando Dio chiama l'uomo al soprannaturale, quando glielo propone o impone, non agisce arbitrariamente, quasi introducesse nella natura un

La purezza della Fede: sulle eresie

La purezza della Fede: sulle eresie

Tratto dall'Enciclopedia di Apologetica - quinta edizione - traduzione del testo APOLOGÉTIQUE Nos raisons de croire - Réponses aux objection 

Tutte le eresie tendono al razionalismo. - Il cattolicesimo, confrontato con le altre forme di cristianesimo, è caratterizzato particolarmente dalla sua fedeltà nel mantenere intatto l'insegnamento tradizionale, nonostante tutte le apparenti difficoltà che si possono presentare. Le eresie tendono, vorremmo dire per forza di cose, al razionalismo: esse pretendono di proporre alle anime una religione intelligibile e perciò non esitano a sacrificare, quando torni utile, una parte della verità rivelata. 

Tendono al razionalismo, dal quale, d'altronde, partono e si può dire che logicamente, se non sempre storicamente, l'eresia è l'effetto d'un atteggiamento razionalista da parte dei suoi " responsabili ". Per la massa che vi è trascinata, il razionalismo può essere una conclusione dell'eresia, perché l'uomo, privato della guida della fede, ha bisogno di darsi delle ragioni; ma originariamente l'errore il più delle volte è preceduto dall'orgoglio umano. 

Il cattolicesimo invece non teme il mistero. Sarebbe esagerato dire che se ne compiace, ma lo accetta, perché in esso vede una condizione di vita. Nelle pagine seguenti vedremo la verità di queste osservazioni richiamando il lontano ricordo di alcune eresie d'altri tempi. 

§ 1. - Errori circa la natura dell'insegnamento tradizionale. 

Primi attacchi contro la tradizione al tempo di San Paolo. - Si può dire che la Chiesa, fin dai primi giorni della sua storia, si trovò di fronte ad eresie. San Paolo, nelle Lettere della prigionia e in quelle pastorali, mette in guardia i suoi discepoli contro le tendenze pericolose dei novatori, che predicano dottrine estranee, e noi non troviamo in questo, come certi critici, un motivo per negare l'autenticità di tali lettere. Specialmente nella provincia dell'Asia, dove s'incontravano tanti opposti sistemi, dove si urtavano tanti influssi diversi, era quasi fatale che la predicazione cristiana fornisse l'appiglio a ogni sorta di speculazioni capaci di adulterarla. D'altronde conosciamo assai poco gli errori condannati da San Paolo, ed è assai verosimile che non si possano ridurre ad unità. Alcuni dottori della menzogna, si preoccupano soprattutto delle esigenze della vita pratica, predicano un ascetismo esagerato, forse esigono anche dai loro ascoltatori la continenza perfetta, preludendo cosi all'encratismo. Altri s'interessano troppo alla speculazione: sono già gnostici, con le loro interminabili genealogie e le novità profane di parole, con l'esagerato culto degli angeli, con le pretese di rivelare un mistero nascosto. La fermezza usata dall'Apostolo contro questi sistemi, comunque siano e da qualunque parte vengano, è notevole. Una formula breve ne traduce il senso: "Custodisci il deposito". La fede cristiana è qualcosa di sacro: essa fu affidata all'apostolo che l'ha trasmessa ai suoi discepoli, i quali a loro volta, devono trasmetterla come l'hanno ricevuta, senza cambiamenti o adulterazioni di sorta. 

Il secondo secolo: gli gnostici. - Questa fedeltà non sarà senza merito, specialmente quando saranno scomparsi gli ultimi apostoli e finché non sia riconosciuta ovunque l'autorità d'un giudice supremo delle controversie. In quanto ci é noto, il secondo secolo ci appare come il secolo della gnosi. Da ogni parte sorgono sistemi che pretendono di rivelare tutti i segreti della vita divina e di far conoscere agli uomini i misteri dell'eternità: Basilide e suo figlio Isidoro; Valentino e i suoi discepoli, Eracleone, Tolomeo, Marco, Teodoto s'ingegnano a descrivere il mondo dell'aldilà con gli eoni che lo popolano e che procedono gli uni dagli altri. Oggi ci torna difficile interessarci a tutta questa fantasmagoria, che d'altronde conosciamo poco nei particolari; ma le anime antiche vi trovavano una seduzione incomparabile. In se stessa l'idea della gnosi non era cristiana: vi furono gnosi esclusivamente pagane e forse' anche gnosi giudaiche. Tuttavia si comprende bene come spiriti ingegnosi avessero trovato il mezzo d'introdurre il nome di Gesù tra quelli degli altri eoni e anche come abbiano fatto di Gesù il redentore delle anime decadute: non è questa una testimonianza della forza e della vitalità del cristianesimo? Tra gl'inventori di sistemi nessuno l'avrebbe preso in considerazione se non fosse riuscito a conquistare le anime: il suo stesso successo lo mette in pericolo, perché gli fa correre il rischio di non restare se stesso e di divenire un nuovo sincretismo. 

Qui non possiamo ricordare neppure sommariamente la storia degli gnosticismi cristiani, che però ci danno l'occasione di fare molti rilievi a loro riguardo. Prima di tutto bisogna sottolineare la potenza di seduzione della gnosi: tutti vogliono sapere, tutti corrono dietro ai segreti della scienza; e sono proprio le pretese rivelazioni riguardo al mondo dell'aldilà che valsero alle religioni misteriche un gran numero di adepti. Gli stessi cristiani, intendo quelli che appartengono alla grande Chiesa, non sono sempre insensibili a' questa seduzione: per rendersene conto basta leggere opere come le Odi di Salomone, l'Epistola apostolorum, gli Atti di Tommaso, gli Atti di Giovanni. I critici non hanno ancor finito di discutere sull'ambiente in cui apparvero questi libri: alcuni vedono in essi produzioni nettamente gnostiche, il che pare esatto per gli Atti di Tommaso; altri vi trovano lo spirito della grande Chiesa, e le Odi di Salomone sembrano realmente un'opera cattolica. Almeno i cattolici del secondo secolo non temono sempre di usare espressioni sospette. Molti di loro diffidano della carne, in cui vedono il principio del male e spingono a un entcratismo esagerato e pericoloso. Naturale quindi che il compito della Chiesa sìa di far fronte al pericolo. 

D'altra parte se il cristianesimo autentico non è una gnosi nel senso stretto che si può dare a questa parola, comporta tuttavia una dottrina, che deve mantenere intatta perché la considera, e giustamente, come rivelata da Dio. La dottrina da sola non basta se non informa tutta la vita. Son fedeli non coloro che posseggono la parola d'ordine con cui entrare nel mondo superiore, ma coloro che praticano la carità, che si amano a vicenda e che, come già notava Plinio il Giovane, s'impegnano con giuramento a non commettere nessun delitto. La loro vita morale è fondata su una fede, la quale, lungi dall'essere una cieca fiducia, è invece una ferma adesione a un insegnamento. Leggendo le opere di Clemente Alessandrino e di Origene, si resta talvolta sorpresi nel vedere quale posto occupi specialmente in Clemente, che non cessò mai d'essere un professore, l'elemento intellettuale della religione. Clemente esagera, e il ritratto dello gnostico da lui tracciato con amore, è qualcosa di puramente ideale; ma se anche fosse realizzabile, non sarebbe quello del vero cristiano. Tuttavia bisogna aggiungere che Clemente ed Origene furono