venerdì 10 agosto 2012

La purezza della Fede: sulle eresie

La purezza della Fede: sulle eresie

Tratto dall'Enciclopedia di Apologetica - quinta edizione - traduzione del testo APOLOGÉTIQUE Nos raisons de croire - Réponses aux objection 

Tutte le eresie tendono al razionalismo. - Il cattolicesimo, confrontato con le altre forme di cristianesimo, è caratterizzato particolarmente dalla sua fedeltà nel mantenere intatto l'insegnamento tradizionale, nonostante tutte le apparenti difficoltà che si possono presentare. Le eresie tendono, vorremmo dire per forza di cose, al razionalismo: esse pretendono di proporre alle anime una religione intelligibile e perciò non esitano a sacrificare, quando torni utile, una parte della verità rivelata. 

Tendono al razionalismo, dal quale, d'altronde, partono e si può dire che logicamente, se non sempre storicamente, l'eresia è l'effetto d'un atteggiamento razionalista da parte dei suoi " responsabili ". Per la massa che vi è trascinata, il razionalismo può essere una conclusione dell'eresia, perché l'uomo, privato della guida della fede, ha bisogno di darsi delle ragioni; ma originariamente l'errore il più delle volte è preceduto dall'orgoglio umano. 

Il cattolicesimo invece non teme il mistero. Sarebbe esagerato dire che se ne compiace, ma lo accetta, perché in esso vede una condizione di vita. Nelle pagine seguenti vedremo la verità di queste osservazioni richiamando il lontano ricordo di alcune eresie d'altri tempi. 

§ 1. - Errori circa la natura dell'insegnamento tradizionale. 

Primi attacchi contro la tradizione al tempo di San Paolo. - Si può dire che la Chiesa, fin dai primi giorni della sua storia, si trovò di fronte ad eresie. San Paolo, nelle Lettere della prigionia e in quelle pastorali, mette in guardia i suoi discepoli contro le tendenze pericolose dei novatori, che predicano dottrine estranee, e noi non troviamo in questo, come certi critici, un motivo per negare l'autenticità di tali lettere. Specialmente nella provincia dell'Asia, dove s'incontravano tanti opposti sistemi, dove si urtavano tanti influssi diversi, era quasi fatale che la predicazione cristiana fornisse l'appiglio a ogni sorta di speculazioni capaci di adulterarla. D'altronde conosciamo assai poco gli errori condannati da San Paolo, ed è assai verosimile che non si possano ridurre ad unità. Alcuni dottori della menzogna, si preoccupano soprattutto delle esigenze della vita pratica, predicano un ascetismo esagerato, forse esigono anche dai loro ascoltatori la continenza perfetta, preludendo cosi all'encratismo. Altri s'interessano troppo alla speculazione: sono già gnostici, con le loro interminabili genealogie e le novità profane di parole, con l'esagerato culto degli angeli, con le pretese di rivelare un mistero nascosto. La fermezza usata dall'Apostolo contro questi sistemi, comunque siano e da qualunque parte vengano, è notevole. Una formula breve ne traduce il senso: "Custodisci il deposito". La fede cristiana è qualcosa di sacro: essa fu affidata all'apostolo che l'ha trasmessa ai suoi discepoli, i quali a loro volta, devono trasmetterla come l'hanno ricevuta, senza cambiamenti o adulterazioni di sorta. 

Il secondo secolo: gli gnostici. - Questa fedeltà non sarà senza merito, specialmente quando saranno scomparsi gli ultimi apostoli e finché non sia riconosciuta ovunque l'autorità d'un giudice supremo delle controversie. In quanto ci é noto, il secondo secolo ci appare come il secolo della gnosi. Da ogni parte sorgono sistemi che pretendono di rivelare tutti i segreti della vita divina e di far conoscere agli uomini i misteri dell'eternità: Basilide e suo figlio Isidoro; Valentino e i suoi discepoli, Eracleone, Tolomeo, Marco, Teodoto s'ingegnano a descrivere il mondo dell'aldilà con gli eoni che lo popolano e che procedono gli uni dagli altri. Oggi ci torna difficile interessarci a tutta questa fantasmagoria, che d'altronde conosciamo poco nei particolari; ma le anime antiche vi trovavano una seduzione incomparabile. In se stessa l'idea della gnosi non era cristiana: vi furono gnosi esclusivamente pagane e forse' anche gnosi giudaiche. Tuttavia si comprende bene come spiriti ingegnosi avessero trovato il mezzo d'introdurre il nome di Gesù tra quelli degli altri eoni e anche come abbiano fatto di Gesù il redentore delle anime decadute: non è questa una testimonianza della forza e della vitalità del cristianesimo? Tra gl'inventori di sistemi nessuno l'avrebbe preso in considerazione se non fosse riuscito a conquistare le anime: il suo stesso successo lo mette in pericolo, perché gli fa correre il rischio di non restare se stesso e di divenire un nuovo sincretismo. 

Qui non possiamo ricordare neppure sommariamente la storia degli gnosticismi cristiani, che però ci danno l'occasione di fare molti rilievi a loro riguardo. Prima di tutto bisogna sottolineare la potenza di seduzione della gnosi: tutti vogliono sapere, tutti corrono dietro ai segreti della scienza; e sono proprio le pretese rivelazioni riguardo al mondo dell'aldilà che valsero alle religioni misteriche un gran numero di adepti. Gli stessi cristiani, intendo quelli che appartengono alla grande Chiesa, non sono sempre insensibili a' questa seduzione: per rendersene conto basta leggere opere come le Odi di Salomone, l'Epistola apostolorum, gli Atti di Tommaso, gli Atti di Giovanni. I critici non hanno ancor finito di discutere sull'ambiente in cui apparvero questi libri: alcuni vedono in essi produzioni nettamente gnostiche, il che pare esatto per gli Atti di Tommaso; altri vi trovano lo spirito della grande Chiesa, e le Odi di Salomone sembrano realmente un'opera cattolica. Almeno i cattolici del secondo secolo non temono sempre di usare espressioni sospette. Molti di loro diffidano della carne, in cui vedono il principio del male e spingono a un entcratismo esagerato e pericoloso. Naturale quindi che il compito della Chiesa sìa di far fronte al pericolo. 

D'altra parte se il cristianesimo autentico non è una gnosi nel senso stretto che si può dare a questa parola, comporta tuttavia una dottrina, che deve mantenere intatta perché la considera, e giustamente, come rivelata da Dio. La dottrina da sola non basta se non informa tutta la vita. Son fedeli non coloro che posseggono la parola d'ordine con cui entrare nel mondo superiore, ma coloro che praticano la carità, che si amano a vicenda e che, come già notava Plinio il Giovane, s'impegnano con giuramento a non commettere nessun delitto. La loro vita morale è fondata su una fede, la quale, lungi dall'essere una cieca fiducia, è invece una ferma adesione a un insegnamento. Leggendo le opere di Clemente Alessandrino e di Origene, si resta talvolta sorpresi nel vedere quale posto occupi specialmente in Clemente, che non cessò mai d'essere un professore, l'elemento intellettuale della religione. Clemente esagera, e il ritratto dello gnostico da lui tracciato con amore, è qualcosa di puramente ideale; ma se anche fosse realizzabile, non sarebbe quello del vero cristiano. Tuttavia bisogna aggiungere che Clemente ed Origene furono
sempre fedeli alla Chiesa. Basta dire che la Chiesa è lungi dal misconoscere il posto della dottrina nella sua vita. 

Un esempio significativo: Marcione e la sua critica dell'Antico Testamento. - È appena necessario aggiungere che alla Chiesa sta molto a cuore conservare l'integrità di questa dottrina. Particolarmente significativo al riguardo è il caso di Marcione. Egli non è propriamente- un gnostico, ma prima di tutto un cristiano, che però esagera l'originalità del cristianesimo fino a condannare tutto il complesso dell'Antico Testamento. Per Marcione il Dio giudaico non è quello vero; la sua giustizia diventa iniqua e il Dio buono, rivelato da Gesù, ha l'unico compito di mettere fine, al suo regno. Venuto Gesù, il giudaismo non ha che da scomparire. Quindi Marcione non s'accontenta di dichiarare che la Chiesa non ha nulla di comune con la Sinagoga e che devono essere rinnegati tutti i libri sacri dei giudei; ma pretende sottoporre ad un esame critico anche i libri cristiani, conservando soltanto il Vangelo di San Luca e le Lettere di San Paolo, dopo essersi affaticato a purgarle accuratamente. Il suo eclettismo finisce in una dottrina assai coerente e anche molto razionalista; il talento d'organizzatore gli permette di costituire comunità abbastanza solide per resistere a non pochi assalti. 

La Chiesa cattolica non ignora tutto ciò che la separa dalla Sinagoga: fin dai primi giorni della sua esistenza dovette lottare per la conquista della sua indipendenza e, durante la predicazione di Marcione, trova i Giudei tra i suoi peggiori nemici. Ma essa non vuole rinnegare nulla della sua eredità. I libri sacri dell'Antico Testamento le appartengono come proprietà sua: l'autore della Lettera di Barnaba non arriva forse a sostenere che essi hanno cessato di essere la proprietà dei Giudei? A fortiori avviene lo stesso di tutti gli scritti che rivendicano come propri autori apostoli o discepoli: prima che finisca il secondo secolo il canone del Nuovo Testamento è costituito press'a poco come lo definirà il Concilio di Trento; in particolare, i quattro Vangeli vengono presentati da Sant'Ireneo come diverse redazioni dell'unico Vangelo. Gesù aveva detto che non era venuto per distruggere la legge, ma per compierla; nulla quindi, nemmeno un apice o uno iota, sparirà dalla Legge, ed a questa regola la Chiesa si attiene, senza chiedersi se così non diventi più difficile la professione del cristianesimo. Che importano le difficoltà? Solo conta la fedeltà all'insegnamento del Maestro, che bisogna mantenere intatto. 

Si può notare che oggi la Chiesa, su questo punto, pensa esattamente come la Chiesa d'un tempo e che non è, più di allora, disposta a rigettare l'Antico Testamento nonostante gl'inviti che le rivolgono certi critici. Haraack nel suo studio su Marcione non ha forse scritto: " Giustamente la Chiesa del secondo secolo si rifiutò di commettere l'errore di rigettare l'Antico Testamento ", perché allora non poteva respingerlo senza rompere ogni legame con esso, e senza dichiararlo opera di un falso dio, il che avrebbe significato gettare il turbamento nelle coscienze? o Conservare l'Antico Testamento nel secolo xvi fu un destino al quale la Riforma non potè ancora sottrarsi ", sebbene Luterò ne avesse quasi avuto l'intenzione: Non potest nobis monstrare verum Deum. " Ma conservare ancora l'Antico Testamento, come fonte canonica, dopo il secolo xix è conseguenza d'una paralisi religiosa ed ecclesiastica". Harnack acconsente che si conservi il Nuovo Testamento, a perché non si potrebbe fare migliore raccolta di fonti per determinare ciò che è cristiano ", ma condanna i libri dell'Antico Testamento, esattamente come Marcione. La Chiesa cattolica però non acconsentirà mai a subire o a fare una mutuazione di questo genere. " Essa riceve come sacri e canonici tutti questi libri, nella loro integrità e con tutte le loro parti, come si usa leggerli nella Chiesa cattolica e come si trovano nella vecchia Volgata latina " (Conc. Trid. sess. rv). 

L'atteggiamento della Chiesa. -L'eresia scioglie; la Chiesa conserva, non avendo per cosi dire altra missione. Gli gnostici insistono sulla conoscenza d'una dottrina e molti di loro abbandonano volentieri la morale: se basta la gnosi, se gli peumatici sono predestinati alla salute, non è evidente che la condotta della vita è indifferente e che il praticare la virtù non serve nulla? Forse potrebbe anche essere utile fare ogni genere d'esperienze e avvoltolarsi nel vizio. Altri che insistono sul dualismo e sulla natura essenzialmente cattiva della materia, condannano perfino l'uso legittimo del matrimonio e votano i loro adepti alla continenza assoluta. Gli uni e gli altri sono forse logici nelle conclusioni, ma partono da premesse false, e per provarlo la Chiesa non ha bisogno di lunghe dimostrazioni, bastandole notare che la sua dottrina è un principio di vita. Conoscere è bene, ma vivere è meglio, se la vita traduce fedelmente la conoscenza. Il vero cristiano è chiamato alla salute, e non viene salvato definitivamente dal solo fatto dell'iniziazione battesimale o anche dalla partecipazione al corpo e al sangue di Cristo. Né le formule né i sacramenti esercitano un'azione magica ed è ancora più falso dire che ci sono uomini che si salvano per natura, mentre altri sarebbero per natura dannati. Ciascuno deve appropriarsi i meriti della redenzione operata da Cristo e chi pecca renderà conto a Dio dei propri peccati. Ecco quello che la Chiesa risponde agli gnostici immoralisti. D'altronde agli encratiti di ogni scuola risponde che se la pratica della virtù è indispensabile, non è necessario imporre agli uomini gioghi che essi non possono portare: eccellente è la verginità, come dichiarò il Signore e San Paolo confermò, ma non si potrebbe renderla obbligatoria: qui potest capere capiat. All'origine del mondo Dio istituì il matrimonio per assicurare la propagazione della specie umana; quindi il matrimonio rimane buono e l'unione dell'uomo e della donna, secondo San Paolo, può venire paragonata all'unione di Cristo e della sua Chiesa. Sarebbe una follia condannarla, mentre si tratta semplicemente di santificarla. 

La concezione cattolica: Sant'Ireneo. - Sant'Ireneo è il grande avversario dello gnosticismo, che, alla fine del secondo secolo, quando già i primi dottori dell'eresia sono morti e i loro epigoni moltiplicano all'infinito le sette, espone mirabilmente il pensiero cattolico di fronte all'errore: la Chiesa è fatta per custodire la tradizione e l'insegnamento apostolico; ed essa custodisce questa tradizione con fedeltà senza aggiungervi né toglierle nulla. La sola vera fede, vivente e vivificante, è quella che la Chiesa ha ricevuto dagli apostoli e che essa oggi distribuisce ai suoi figli. Il Signore in realtà diede il suo Vangelo agli apostoli; affidò loro la missione d'insegnare in suo nome, e da essi noi abbiamo la verità, cioè la dottrina del Figlio di Dio (Haer., Ili, praefat.). Per poco che si voglia aprire gli occhi, in ogni chiesa si contempla la tradizione della dottrina degli apostoli, autenticata dai vescovi attuali che risalgono agli apostoli, con una successione continua e verificabile (Haer., Ili, 3, 1). Il procedimento è semplice: nessuna verità fuori della dottrina degli apostoli; non c'è dottrina degli apostoli fuori del cattolicesimo; non c'è cattolicesimo fuori della successione dei vescovi. 

Sant'Ireneo quindi può definire l'eresia per opposizione alla tradizione cattolica. Gli gnostici sono quelli che ricercano la verità come se nessuno prima di loro l'avesse mai trovata; e se per caso fanno appello alla tradizione, deviano questa parola dal suo vero senso cercandosi degli antenati umani, ai quali d'altronde sono incapaci di restare fedeli. Fin dalle origini la Chiesa è una coesione d'anime e di Chiese in una stessa fede d'autorità; lo gnosticismo invece si risolve in un pulviscolo di sette senza alcuna unità; tutt'alpiù finisce coll'organizzare delle scuole. È vero che Marcione riesce a fondare una Chiesa, ma questa non tarda a dividersi in sette rivali. Solo il cattolicesimo conserva la sua unità, perché esso solo mantiene la tradizione ricevuta. 

Il montanismo.- Molto caratteristico della fedeltà della Chiesa a tutta l'eredità del passato è l'atteggiamento assunto nell'affare montanista. È noto come circa l'anno 170 un certo Montano, accompagnato dalle due profetesse, Quintilla e Massimilla, cominciò a predicare nella Frigia l'avvento dello Spirito Santo e la prossima venuta della Gerusalemme celeste. Montano e le sue compagne si pretendevano ispirati e assicuravano che lo Spirito Santo in persona parlava per la loro bocca. Sembrava difficile poter rispondere a una tale affermazione: la Chiesa non era forse nata nel giorno di Pentecoste, e gli apostoli non erano stati gratificati in modo miracoloso del dono delle lingue? Da allora le manifestazioni dello Spirito divino nei cristiani erano state molto numerose; gli Atti degli apostoli a più riprese ricordano i suoi interventi; San Paolo, specialmente nella prima lettera ai Corinti, fa lunghe istruzioni sui carismi, particolarmente sulla glossolalia e sulla profezia e dichiara che la carità è preferibile a tutte le lingue del mondo non esitando a riconoscere i diritti sovrani dello Spirito, che spira dove vuole e che non bisogna estinguere. Dopo l'età apostolica i carismatici erano stati certamente meno numerosi, ma la Chiesa non ne era mai stata priva e tra i fratelli restavano testimoni indiscutibili della presenza di Dio in mezzo ai suoi. Che cosa c'era da opporre a Montano che si presentava come il depositario delle grazie divine? 

Infatti numerosi cristiani si lasciarono sedurre e anche alcuni vescovi | ebbero la debolezza di aderire al movimento montanista. Nel suo complesso la ! Chiesa restò ferma contro l'eresia, e oppose risolutamente la sua tradizione alle novità del preteso profeta. È impossibile che Dio contraddica se stesso; quello che fu insegnato fin dall'origine è la verità; quindi tutto ciò che s'oppone alla tradizione è l'errore. Sotto colore di rivelazione privata, Montano in-troduceva delle novità e solo per questo si rendeva condannabile e meritava di venir considerato come un eretico. Sembra che sia stato in occasione del montanismo che si riunirono i primi Concili in Oriente. Che cosa più di queste assemblee di vescovi, successori degli apostoli depositari della tradizione e custodi della fede, poteva essere più efficace contro le pretese di Montano? Nei vescovi infatti il montanismo trovò un'opposizione irriducibile, e ben presto cadde in oblio anche perché la Gerusalemme celeste, promessa con tanta sicurezza, non discese nella pianura di Pepuzio, dov'era attesa. 

Intanto era impostato il problema della legittimità della. profezia. I vescovi avevano il diritto e anche il mezzo di regolare le manifestazioni carismatiche? Di questo non ci poteva essere questione. Alcuni storici hanno recentemente ridotto l'essenza della storia della Chiesa primitiva a un conflitto tra carismatici e membri della gerarchla; ma i fatti sono molto lontani dall'appoggiare quest'ipotesi, e conosciamo non pochi vescovi, cominciando da Sant'Ignazio d'Antiochia e San Policarpo di Smirne, che vennero favoriti delle grazie dello Spirito Santo. Però era necessario fissare le regole che dovevano permet: tere di distinguere i veri dai falsi profeti. Già la Dottrina degli apostoli aveva dato a questo riguardo alcuni principi. Gli avversari del montanismo ripresero lo studio del problema e decisero in particolare che " il profeta non deve parlare in estasi ". Questo indicava una netta diffidenza verso i prodigi e le manifestazioni straordinarie; significava condannare in anticipo tutti i' falsi profeti che, sotto colore d'ispirazione, avrebbero profuso discorsi inintelligibili; significava soprattutto affermare il primato della tradizione sull'ispirazione individuale. I principi erano salvi: i veri profeti mantenevano il loro posto nella Chiesa e in loro si veneravano i privilegiati dello Spirito Santo; ma venivan loro richieste le lettere credenziali, cioè una vita degna, discorsi intelligibili e perfetto disinteresse. Soluzione saggia quant'altro mai, equilibrata e armoniosa, analoga a quelle che chiusero i dibattiti sollevati dallo gnosticismo. 

§ 2. - Errori sul contenuto dell'insegnamento tradizionale

La fine del secondo secolo e il principio del terzo videro sorgere altre questioni che concernevano non solo la natura, ma anche e principalmente il contenuto dell'insegnamento tradizionale. Ancora una volta constateremo che nelle controversie sul patripassianesimo e l'adozianesimo, la Chiesa rimase fedele alla linea di condotta seguita fino allora. 

Due movimenti estremi: adozianesimo e patripassianesimo. - Roma diviene ora il centro delle controversie che improvvisamente acquistano una importanza speciale. Già i maestri più famosi della gnosi e lo stesso Marcione avevano fatto di Roma il centro della loro propaganda, rendendo cosi una specie d'omaggio all'autorità della Chiesa romana. Circa l'anno 200 Roma è più che mai il punto d'incontro di tutti i cristiani che credono d'avere qualcosa da dire. Da Bisanzio giunge Teodoto il Cuoiaio il quale insegna che " Gesù è un uomo partorito da una vergine secondo la volontà del Padre; che visse come tutti gli altri, ma per la sua pietà supera tutti gli uomini. Più tardi, al tempo del suo battesimo sulle rive del Giordano, ricevette e contenne in sé il Cristo disceso dal cielo sotto forma d'una colomba... Ma anche allora, dopo la discesa dello Spirito, Gesù non è divenuto Dio; secondo alcuni lo divenne mediante la sua resurrezione dai morti ". Teodoto ebbe numerosi discepoli, che unitamente a lui vedono in Gesù Cristo un semplice uomo, ma che in quanto al resto sono ben lungi dall'andare d'accordo tra loro: questo però non impedisce ai teodoziani di cercare almeno di organizzare una Chiesa e darsi per vescovo un certo Natale, sedotto dall'esca mensile di centocinquanta denari. 

Circa nello stesso tempo Prassea introduce a Roma il patripassianesimo. Egli viene dall'Asia, dove ha conosciuto il montanismo, e combatte vigorosamente la nuova profezia. Però nello stesso tempo, col pretesto di conservare la monarchia divina, afferma che il Verbo non esiste come una persona, e che non è altro che un nuovo nome per indicare il Padre: quindi il Padre stesso si è incarnato nel seno di Maria, sofferse, mori e resuscitò. In Gesù Cristo si possono distinguere due elementi: quello umano, Gesù, che se si vuole è Figlio; l'altro divino, Cristo, identico al Padre. 

Pare che Prassea non sia rimasto a lungo a Roma, dove però si continuò a insegnare la sua dottrina: Cleomene, sotto il pontificato di San Zeffirino, è il patripassiano più noto e trova un grande numero di partigiani tra i semplici, che vogliono affermare l'unità di Dio. Bisogna ammettere che il mistero cristiano sconcerta le deboli intelligenze che cercano di capire come Dio possa essere unico nella Trinità delle persone: a questi semplici fedeli era stato tanto predicato che il grande nemico del cristianesimo .è l'idolatria, ed essi per timore insistono tanto sulla monarchia divina da compromettere la Trinità. Perciò non possono dire che il Figlio è differente dal Padre e siccome devono ammettere che Gesù Cristo è Dio, ne concludono molto naturalmente che il Padre stesso s'è incarnato. D'altronde molti non vanno così lontano nello sforzo intellettuale e s'accontentano di affermare la divinità del Salvatore o di dire che Dio si è fatto uomo, senza continuare le investigazioni. 

La risposta della Chiesa: i papi Zeffirino e Dionigi. - I cattolici istruiti naturalmente protestano contro le semplificazioni del domina; desiderano quanto gli altri di salvaguardare la divinità di Cristo, ma non sono meno desiderosi di mantenere la Trinità delle persone in Dio. Tertulliano a Cartagine e Sant'Ippolito a Roma rappresentano meglio di tutti lo sforzo degl'intellettuali per trovare formule pienamente soddisfacenti. D'altronde bisogna riconoscere che questo sforzo non arrivò a risultati definitivi e che non venne incoraggiato dal papa S. Zeffirino il quale si mette a fianco dei semplici credenti. Tertulliano protesta invano: " I semplici, per non dire gli inetti e gl'ignoranti, che formano sempre la grande massa dei fedeli, vedendo che la regola della fede ci fa passare dal politeismo pagano a un Dio vero e unico, non capiscono che in realtà bisogna credere al Dio unico, ma con la sua economia, e si spaventano; immaginano che l'economia introduca la pluralità, che la distinzione della Trinità divida l'unità, mentre è tutto il contrario, poiché l'unità, diffondendo dal suo seno la Trinità, non viene distrutta, ma ordinata " (Adv. Prax., 8). 

San Zeffirino, succeduto a San Vittore, è secondo Sant'Ippolito, uno spirito angusto e incolto. Qui Sant'Ippolito parla come avversario, ma si può credere che in realtà il papa non abbia tutta la scienza del prete che illustra allora la sua Chiesa, e che s'accontenta di mantenere la tradizione cristiana nella sua integrità, senza fare il gioco né dei dotti, che con le loro spiegazioni sottili tendono al subordinazianesimo, né degl'ignoranti, che sarebbero tentati di sacrificare sconsideratamente la Trinità. Ippolito assicura che, nel suo desiderio di pace, Zeffirino ora dichiara : " Io non conosco che un Dio, Gesù Cristo, e all'infuori di lui nessun altro che sia nato e che potesse soffrire "; ora dice: " Non è il Padre che è morto, ma il Figlio ". L'autenticità di queste formule non è certa; specialmente la prima, che è testualmente dell'eretico Noeto di Smirne, stupirebbe se fosse detta da un papa. Tuttavia si può spiegare cosi: È ben sicuro che Gesù Cristo è Dio e che egli — non il Padre, né lo Spirito Santo, ma il Figlio — è stato generato e sofferse. Tra i monarchici patripassiani e gli adozianisti, San Zeffirino vuole conservare l'integrità dell'insegnamento tradizionale; non intende sacrificare nulla del domma cattolico, dovesse pure per questo insistere sull'aspetto misterioso della dottrina. C'è un Dio e in Dio ci sono tre persone; Gesù Cristo è veramente un uomo ed è veramente un Dio. Tutto questo dev'essere egualmente affermato, e tutto questo agli occhi della Chiesa è egualmente prezioso. 

Una cinquantina d'anni più tardi il papa San Dionigi deve ritornare sugli stessi problemi e formula la sua decisione in termini netti e categorici: " È necessario che il Verbo divino sia unito al Dio dell'universo, e bisogna che lo Spirito Santo abbia in Dio il suo soggiorno e la sua abitazione. Bisogna ad ogni modo che la Santa Trinità sia ricapitolata e ricondotta a uno solo come al suo vertice, voglio dire il Dio onnipotente dell'universo perché spezzare e dividere la monarchia in tre principi è l'insegnamento di Marcione, l'insensato... 
Non bisogna quindi dividere in tre divinità l'ammirabile e divina unità, né abbassare (con l'idea di) produzione la dignità e l'eccellente grandezza del Signore, ma credere in Dio Padre onnipotente, e Gesù Cristo suo Figlio, e allo Spirito Santo e (credere che) il Verbo è unito al Dio dell'universo ". 

In queste formule di San Dionigi ci colpisce la forza e la chiarezza. Come nota il P. Lebreton, qui non ci sono " affatto speculazioni teologiche, affatto sottigliezze dialettiche, scarsa "erudizione scritturale, ma la dichiarazione categorica della fede professata dalla Chiesa... Non parla il teologo, ma il papa; egli da parte sua non si compiace nelle speculazioni teologiche e poco si cura di quelle degli altri: si è notato che la sua argomentazione non tiene conto delle sottili distinzioni alessandrine sulle tre persone o sul duplice stato del Logos; si cura soltanto delle conclusioni più in vista, sia che i loro autori abbiano formulato questa dottrina essi stessi, sia che gli sembrino derivarne per deduzione spontanea; e poiché tali conclusioni sono un pericolo per la fede, le rigetta e con esse la teologia che le ha generate " (J. Lebreton, Le désaccord de la fot populaire et de la théologie sanante dans VEglise chrétienne du ih siede, in Rev. d'hist. ecclésiast, xx, 1924, pp. 9-10). 

Il Concìlio di Nicea. - Però la controversia non è finita con le dichiarazioni di San Dionigi romano e l'onore di definire il domma cattolico della Trinità spetta al Concilio di Nicea. La definizione è data in un simbolo che mette in onore il termine consustanziale, applicato al Figlio di Dio. Dire che il Figlio è consustanziale al Padre significa affermare che è Dio come lui, inseparabile da lui, che è l'immagine della sua sostanza; in una parola significa proclamarne la sua vera divinità. Si poteva esitare a questo riguardo leggendo le lettere di San Paolo e i Vangeli, specialmente il quarto, che afferma chiara 
mente la perfetta unità del Padre e del Figlio? Ma nello stesso tempo i Padri di Nicea insegnano che il Figlio non si confonde col Padre, che è altra cosa da un nome, che ha una realtà personale e incomunicabile; e se non insistono su questo punto è perché devono combattere l'eresia subordinazionista di Ario. Ma quando le circostanze lo richiederanno la Chiesa non avrà nessuna difficoltà a mettere in rilievo la Trinità delle divine persone, con altrettanta chiarezza come ha fatto per l'unità di Dio. Qui è particolarmente interessante segnalare il Concilio di Alessandria del 362, perché fa chiaramente vedere la saggezza della Chiesa e la sua volontà di mantenere intatta tutta la tradizione. 

§ 3. - Conclusione: la lezione del passato

L'eresia è una dissociazione rovinosa e ingiustificata. - Abbiamo insistito sulle'prime eresie, perché dal nostro punto di vista hanno un significato speciale, in quanto segnano lo sforzo della scienza umana per scegliere quello che nell'insegnamento del Salvatore si può ritenere e quello che si deve respingere. Si poteva temere che la Chiesa soccombesse alla tentazione, ma abbiamo constatato che proprio questo essa non ha mai fatto. Gli eretici abbandonano or questa or quella parte della rivelazione e scivolano per una china dove non potranno arrestarsi; gli unici eretici perfettamente logici sono i razionalisti puri, che respingono tutto e non conservano nulla. Come fare per scegliere, e che cosa si ha il diritto di conservare, quando si è cominciato la discussione? Perché credere in Gesù se non si ammette tutto quello che ha detto? Perché conservare le Scritture, se si respinge la Chiesa che ne insegna l'ispirazione e l'inerranza? Perché ammettere che Dio ha parlato agli uomini, se si respinge il miracolo e la profezia? 

Il domma cristiano dev'essere accolto o negato nella sua totalità

- Si voglia o no, l'insegnamento cristiano è un blocco che si ammette o no cosi com'è. 
Ma dal momento che lo si ammette, non si ha più il diritto di discuterne le parti: occorre appena notare che qui si tratta non delle opinioni liberamente dibattute tra i teologi, ma delle dottrine che fanno parte del deposito rivelato. Quello che San Paolo diceva al suo discepolo Timoteo: "Custodisci il deposito ", la Chiesa non cessa di ripeterlo a quanti credono in lei. I papi e i vescovi, che costituiscono la Chiesa docente, hanno la sola missione di ripetere nei secoli questa formula, piaccia o dispiaccia. Se questo in determinati momenti solleva speciali difficoltà non importa. Non si tratta di sapere se una data dottrina oggi s'accorda con la filosofia in voga; se armonizza con questo o quel sistema umano: a questo gioco possono dedicarsi, se vogliono, quelli che hanno tempo e gusto. Si tratta solo di mantenere tutto quello che è stato creduto sempre dappertutto e da tutti, per usare la formula di San Vincenzo di Lerino. La Chiesa non ha mai sacrificato nulla del tesoro che le è stato affidato. Non è forse mera vigliosa simile fedeltà nelle circostanze più difficili, di fronte alle più seducenti tentazioni? E non possiamo credere che lo Spirito di Dio ha manifestato la sua presenza non permettendo che durante i secoli neppure una volta fosse intaccata l'integrità del deposito? G. B. 

BIBLIOGRAFIA. - Circa gli errori relativi alla natura dell'insegnamento e la rispettiva reazione della Chiesa è fondamentale D. Van Den Eyttoe, "Le nomes de l'ensàgnement chrétien dans la lìttérature patrìstique des trois premiers siècles, Duculot, Gembloux 1933. Per gli errori relativi al contenuto dell'insegnamento tradizionale vedere una buona Storia della Chiesa, ad es. quella di Fucsie et Martin, voli. I-II, L. I. C. E., Torino 1937-1938; oppure L’Histoire des dogmes di Tixeront, Gabalda, Paris 1905-1912 o le rispettive voci nella E. C. Sullo spirito di eresia nei primi tre secoli si possono leggere le profonde considerazioni di A. Moehler, L'uniti dans VEglise, Ed. du Cerf, Paris 1938, pp. 55-108 : Multitude sans unite. Di questa classica opera esiste anche una traduzione italiana (Librerò Pirotta, Milano 1858} ormai quasi introvabile.

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